mercoledì 8 febbraio 2012

Gli Inquilini di Bernard Malamud: degenerazione e ossessione dello scrivere

Harry Lesser è uno scrittore. Ha scritto un libro bello, uno brutto e ora sta scrivendo il terzo libro. Da dieci anni.
E' anche l'ultimo inquilino di un condominio che sta per essere abbattuto, o così vorrebbe il proprietario, ma Harry non se ne vuol andare e non se ne andrà:  ha iniziato a scrivere lì il libro e lì lo finirà.
La sua routine viene interrotta quando incontra Willie Spearmit, scrittore in erba, al suo primo romanzo, inquilino abusivo del palazzo, afroamericano. Fra i due nasce un forte legame, sono scrittori entrambi ma sono troppo diversi per andare d'accordo: Harry è ebreo, serio, riservato, bianco. Willie è azione, con un'indole violenta, convinto che ci sarà la rivoluzione dei negri. E infine c'è anche Irene, ragazza di Willie, bianca, infelice. 
E sullo sfondo i condomini vicini che crollano, abbattuti per far posto a nuovi palazzi, e l'unico che ancora resiste è quello di Harry.

Un parere
"Un libro da odiare o da amare; una lettura da cui si esce arrabbiati, combattuti- e vivi."
Aleksander Hemon, sulla quarta di copertina

Quando ho finito di leggere questo libro non ero né arrabbiata né combattuta, forse un po' spaventata ( quando ti immedesimi in un libro...).
E’ un bel libro, una bella storia, due scrittori ossessionati dalla scrittura: sono due diversi punti di vista su come si debba scrivere. Scrivere seguendo il proprio istinto, il proprio flusso di coscienza, il nostro mondo interiore, senza curarsi della forma o scrivere dando alla tua immaginazione una forma “ordinata”, trovando le parole giuste, legare le scene una all’altra in modo esemplare?
E’ la storia di Willie e Harry. Non sono due personaggi per cui provare simpatia, non hanno grandi qualità, anzi, l’unica qualità che hanno entrambi è la loro caparbietà, la costanza di un proposito che degenera in ossessione.
Devo dire che ero certamente delusa per almeno la prima metà del libro: perché la storia è piatta e i due protagonisti sono poveri umanamente. Non sono simpatici, anzi, più di una volta ho provato un senso di fastidio nel leggere quanta pusillanimità c’è in Harry, troppo pauroso, troppo indeciso, troppo testardo a volte, come la sua fissazione per il condominio: qualunque cifra gli offrisse il povero Levenspiel lui non cambiava idea, lì sarebbe rimasto fino alla fine del libro (in un palazzo dove abita solo lui). Malamud ha creato un protagonista che non si ama, che non si incoraggia mentalmente, che fa sperare di non diventar come lui, e di cui si può salvare solo la sua passione per la scrittura, l’unico mondo che conosce. E l’altro personaggio, Willie, la stessa cosa: nessun tifo anche per lui. Willie è un negro, ma non di quelli ‘bravi’ a cui ci ha abituati certa letteratura buonista. E’ un mix di attivismo e violenza, un razzista ‘al contrario’, odia i bianchi, spera che i negri facciano la rivoluzione perchè sono superiori, i bianchi non li capiscono e non li possono capire in quanto bianchi. Ama alla follia la sua negritudine. Di quel tipo di amore che ti fa diventare stupido, e infatti per me lo è. Mai una volta si sforza di capire chi ha davanti a lui ( come fa Irene a starci assieme?), per lui tutto è ironicamente bianco o nero, o con me o contro di me. E’ orgoglioso, testardo, violento. Ma ama scrivere: riversa la sua rabbia nel suo primo libro, che sta scrivendo quando incontra Harry l’ebreo, il bianco, il senzapalle.
Per nessuno dei due provi simpatia, però ti affascina, ti cattura la loro passione/ossessione per la scrittura, che un giorno potrebbe essere la tua: quanto puoi scrivere prima di impazzire?
Hemon dice che tra i due si instaura una rivalità letteraria. Per me non è proprio così: tra Willie e Harry nasce lo scontro a causa di Willie e del suo indomabile carattere prima, e poi per il corso degli eventi. Avrebbero potuto essere amici se le cose fossero andate diversamente? No. Harry è infastidito da Willie, lo distrae dal suo libro, l’unica cosa che conti per lui; non vuole consigliarlo perchè ha paura della sua reazione nel caso abbia scritto male, ma lo fa perchè ha paura di dirgli che non lo vuole fare; vorrebbe pensare solo a se stesso. E Willie verso Harry all’inizio è amichevole a modo suo, non gli sputa in faccia solo perchè è uno scrittore con ben due libri alle spalle, potrebbe pensare di accettare dei consigli; ma i loro due modi di scrivere cozzano fin da subito, Harry è convinto del suo modo di scrivere, Willie non vuole cambiare quello che è.
Tra i due si instaura uno strano rapporto, che degenera nel corso della storia. La vita reale li fa scontrare più che mai, e quell’equilibrio precario si spezza, lasciando l’odio, nella parte finale.
E la parte finale per me è proprio la più bella, quella che volevo leggere inconsapevolmente. Le vite di Harry e Willie si sono ingarbugliate, ma ci pensato loro ad azzerare ognuno la propria. Vediamo due scrittori, che si odiano, che non si guardano, ossessionati l’uno dell’altro, da quello che scrivono. Non sono invidiosi l’uno dell’altro, ma sono curiosi di sapere come stia andando l’altro, vogliono sapere le parole dell’altro,  anche se forse le sanno già. Guardando l’altro è come se si specchiassero.

Consiglierei questo libro a chi ama scrivere, non per spaventarlo, ma per dare uno sguardo diverso all’atto della scrittura: scrivere è dedizione (Harry), scrivere è immaginare sempre (si vede anche nel modo di scrivere di Malamud, inaspettatamente), scrivere è riuscire a convogliare tutte le nostre idee in parole, in forma concreta e comprensibile. Riuscire a trasmettere le nostre emozioni agli altri usando la forma migliore.
Scrivere è sperare di non incontrare mai un Willie sulla nostra strada.

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