venerdì 24 gennaio 2014

Quella generazione che non ha creduto nella cultura

Diverse sere fa ho partecipato ad un incontro dove si parlava di cultura.
Hanno proiettato questo video che ha lasciato tutti senza parole.


Ho visto all'opera l'uomo che distrugge, ho incontrato chi decide senza capire, ho parlato con la gente che favorisce questa carneficina.
E mentre queste agonie si son fatte morte, ho osato raccogliere un granello di polvere per farne la mia terapia.
Mentre uccidevano le stagioni, mentre demolivano i paesi, quei paesi...io c'ero ma non ho fatto niente.

Mentre si sceglievano uomini privi di ogni lume nascosti dietro a bandiere colorate, io c'ero ma non ho fatto niente. 


Mentre i contadini imparavano ad odiare i campi, le piante, le acque e i ricchi pretendevano di fare i contadini col marketing tra le zolle io c'ero e non ho fatto niente.


Mentre questa terra povera ma non misera spariva io c'ero ma non sono riuscito a contrastare una sola di quelle perversioni emergenti.
(ndr: le immagini del video sono fotografie del territorio bresciano, dalle valli, alla bassa, al lago)

Oggi tutti i giornali, telegiornali, approfondimenti, trasmissioni parlano di una sola cosa: la crisi.
La crisi che si è mangiata migliaia di posti di lavoro, la crisi che costringe molte famiglie a vivere di stenti, la crisi che incattivisce le persone, la crisi che lo stato combatte aumentando le tasse un po' a tutti.

Questa però è prima di tutto una crisi culturale, di un paese che ha costruito la propria crescita/ il boom/ il miracolo economico unicamente sui soldi, sulla finanza, sul consumismo.

Un paese che finché tutti sono riusciti a sfruttare quei meccanismi ha vissuto bene e non si è mai preoccupato di investire di più in cultura.
E investire in cultura non significa solo fare l'evento culturale, no.
Investire in cultura significa pensare prima. E pensare richiede tempo e il tempo, si sa, è denaro.
Significa credere innanzitutto che il nostro territorio abbia un valore e per questo valga la pena preservarlo invece che distruggerlo e cementificarlo.

© paoblog
Investire in cultura significa dare dignità a chi opera in questo campo e tenta di rendere le persone cittadini migliori attraverso l'arte, la musica, la letteratura, il teatro.

Pompei
Investire in cultura significa un domani avere anche un "tornaconto economico": se tu insegni ai bambini che siamo tutti uguali, che il diverso va rispettato, che bisogna vivere in modo sano...un domani non hai risparmiato in assistenza, sicurezza, disagio sociale?


Investire in cultura significa pensare agli altri, a chi è venuto prima di noi, a chi ci sta attorno, a chi verrà dopo di noi.


Ho incontrato un mio vecchio professore a quell'incontro e lui ci ha chiesto scusa: a me e ad altri ragazzi. Perché non ha fatto niente per impedire il disastro: ha vissuto il cambiamento, il pensiero di cui si facevano ( e si fanno) portatori.
Più lavoro per tutti, più soldi per tutti.
Fa niente se nel frattempo per costruire le aziende hanno dovuto buttar giù edifici carichi di memoria.
Fa niente se nel frattempo in quegli anni di costruzione folle nessuno ha mai pensato a cosa stavano buttando di nascosto nelle cave.
Fa niente se nel frattempo si è scoperto che tutte quelle aziende, che  avevano tutti fretta che partissero per dare lavoro, producevano veleni.


Fa niente.
L'importante era lavorare, mettere da parte i soldi e costruire una casa piena di comodità.
Ma adesso che i soldi non ci sono e il lavoro è una chimera, è rimasto questo: edifici vuoti che imbruttiscono il paesaggio, terreni inquinati, persone senza memoria.

Una scena dall'albero degli zoccoli
Il professore non ha dato la colpa alla sua generazione precedente, i nostri nonni, perché loro la pancia vuota l'avevano sempre avuta vuota.
Ma noi, la mia generazione, la pancia l'abbiamo avuta piena. E una volta piena dovevamo essere in grado di guardare più in là. E invece abbiamo pensato solo a noi stessi, ai nostri diritti, senza preoccuparci e senza interrogarci su dove stavamo andando. È come se ci fossimo abbuffati al ristorante e avessimo lasciato a voi le briciole e il conto da pagare.  
Credere nella cultura significa cambiare totalmente il proprio modo di pensare.
Significa investire in quei servizi, come quelli sociali e culturali, che possono rendere le persone migliori.
Ed essere persone migliori vuol dire sia pensarci bene prima di buttare una carta per terra, ma anche trovare offensivo anche solo pensare di truffare un'anziana che si fida della tua faccia da bravo ragazzo, che si fida delle tue mani che l'aiutano a cambiarsi, ad attraversare la strada.
Questa per me è cultura ed è in questo che si deve investire.
Il lavoro e i soldi sono importanti, ma non sono tutto.
Pensare con cultura significa rivendicare il proprio diritto a lavorare, ma ricordare che siamo persone.
Cultura significa combattere l'egoismo: se almeno io ne traggo vantaggio, allora va tutto bene, faccio finta di non vedere.


La generazione precedente non ha creduto nella cultura.
Ha creduto nel cemento, nei sogni facili, negli oggetti da avere a tutti i costi. Ha fatto studiare i figli perché avrebbero avuto un lavoro migliore, dove migliore significava solo più soldi. Eppure dopo hanno puntato, e stanno puntando, alla delegittimazione morale di chi gli ricordava chi erano, cosa sono diventati, dove stavano/stanno andando. La cultura negli ultimi 30-40 anni ha soffiato solo verso il basso, dove basso è la risata sguaiata, la frase fatta, il bello artificiale...e c'è chi ha approfittato di tutto questo, dell'ignoranza.
- C'ero anch'io quando hanno buttato giù quelle case. Certo non erano abitabili ma erano molto belle nella loro semplicità contadina, ora avrebbero un secolo. Si potevano sistemare, gliel'avevo detto e loro mi avevano, anzi ci avevano promesso che ci pensavano, che avevamo ragione. E poi è bastato un solo giorno perché sparisse tutto. 
E in paese se ne è parlato, e la gente era quasi felice. Si distrugge il vecchio, i "sassi", perché ricordano quello che eravamo: poveri. Ma lo siamo ancora.
E io adesso chiedo a voi, siete sempre convinti che la cultura sia una cosa solo astratta?
Siete sempre convinti che il fine giustifichi ogni mezzo, che il lavoro è lavoro e i soldi sono soldi, anche se sto danneggiando me stesso e la mia comunità?
Siete convinti dei valori che volete trasmettere ai vostri figli, del paese che volete lasciargli?

Siete davvero convinti che la felicità si misuri solo con il PIL?
È da quando sono piccolo che dicono che abbiamo il più bel patrimonio culturale. Ed è da allora che nessuno ha fatto niente. Poi si stupiscono se tutto crolla, se la gente ignorante rimane ignorante. 
Questa è una battaglia. E siete voi per primi che dovete combattere, perché potete farcela, anche se credo sia troppo tardi. Voi, anche se loro dicono che non valete niente. Io lo so invece che siete diversi, lo vedo negli occhi attenti dei ragazzini, tutti i giorni.
Noi abbiamo fallito in tutto e dovremmo solo ritirarci.

Non aspettatevi che sia facile perché qui bisogna partire da zero.

7 commenti:

  1. La cultura intesa in questo senso è, secondo me, fondamentalmente l'esperienza. Sono convinta che certi pensieri si facciano propri solo vivendoli sulla propria pelle: non basta leggere un quotidiano o un libro, guardare un telegiornale o partecipare a una conferenza per capire veramente cosa succede nel mondo.
    Penso che la cultura di cui parli sia la vita, sia sperimentare sulla propria pelle i disagi e le conseguenze di certe azioni; conosco persone umanissime e intelligenti che non sanno strutturare una frase di senso compiuto, ma conosco anche persone "acculturate" e arroccate elitariamente sulle proprie convinzioni, sui propri ideali, che hanno poco a che vedere con la realtà.
    Penso che ci siano tanti, troppi, ragazzi convinti di avere il mondo in mano perché hanno letto - udite udite! - Il ritratto di Dorian Gray, e invece a me piacerebbe che si recuperassero i lavori più umili, soprattutto l'artigianato.

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    1. Si, cultura significa vivere pensando essenzialmente, ma per pensare devi avere qualcuno che ti ha insegnato a farlo, a pensare in quel modo che poi ti permette di capire da solo i limiti da non superare.

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    2. Non so quanto un insegnamento possa attecchire su un terreno non fertile... Cioè, che si debba provare a insegnare è poco ma sicuro (e ci pensa la scuola dell'obbligo), ma oltre un certo limite spetta all'individuo decidere cosa fare di se stesso...

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  2. In Italia, si confonde la cultura con intellettualismo snob e inarrivabile, povero.
    Ma come dici tu è pensiero e apertura mentale prima di tutto, che non porta allo svilimento di ogni aspetto della vita e del paesaggio. Da questo mancanza di senso la crisi dei valori e dell'economia ha avuto terreno fertile.
    Non siamo più capaci di ribellarci.

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    1. Voglio invece credere non che siamo capaci, ma che dobbiamo farlo. Quella sera c'era anche un amico, con i suoi due figli, la più piccola ha appena imparato a camminare. Ecco, io mi domando, se adesso non facciamo qualcosa noi ( che poi non serve chissà cosa, basta avere più consapevolezza), cosa lasciamo a chi verrà dopo di noi?

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  3. Articolo condivisibilissimo.
    La cultura non è solo un settore in cui non si è investito, ma anche qualcosa che spesso è stato soggetto a tagli lineari. Fortunatamente c'è una cultura "militante" che resiste, poiché molte istituzioni, non finanziate adeguatamente, rischiano invece di chiudere o di cadere a pezzi (vedi Pompei).

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    1. Il mio cruccio è fino a quando resisterà questa cultura militante? E fino a quando la cultura dovrà essere sempre e solo limitata a pochi, come se fosse un privilegio o chissà cosa?
      Uff

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