mercoledì 27 novembre 2013

#BCM13: sui blog e sul lavoro culturale

Logo BookCity
Leggendo in giro si dice che Bookcity sia stato un successo. Essendoci stata solo sabato posso dire che c'era tanta gente, solo che non riuscivi a capire quanti erano lì per Bookcity e quanti per la solita Milano.
Comunque le presenze sono state più di 130.000.
Mi lamento unicamente della presenza di tanti eventi, tutti interessanti, del non poter assistere a molti, ma soprattutto per non esser riuscita ad andare al Salone del libro usato: troppo "lontano" dai luoghi degli incontri.
Gli altri anni era in un altro week-end, ammetto che se fosse stato tra qualche settimana ci sarei andata per perdermi con piacere tra i libri.

Bookblog. Editoria e lavoro culturale
Hanno partecipato Alessandro De Felice (Rivista Studio), eFFe, Christian Raimo (Minimum Fax), Stefano Salis (inserto culturale del sole 24ore), Marco Liberatore (doppiozero)


Si è partiti dall'ebook di effe e si è arrivati a parlare di politiche culturali in sostanza, in un dibattito man mano sempre più caldo.

Qualche numero
Effe ha iniziato snocciolando numeri del sondaggio dedicato ai bookblog presentato al Salone del libro di Torino: il 60% dei blogger sono donne, il 44% ha più di 36 anni, il 79% ha almeno la laurea.
Il rapporto con gli editoriil 92% dice di non aver mai ricevuto pressioni per fare recensioni forzate.
il 42% ha chiesto i libri agli editori e l'84% l'ha ricevuto.
Quindi gli editori si limitano a mandare i libri, pare.
Il 57% ha ammesso di aver avuto l'impressione di leggere recensioni non proprio sincere.
Il 70% ha detto di non  essersi mai moderato nelle recensioni, però il 31% dice di essersi limitato a tacere aspetti negativi e il 66% dice di aver infilato critiche bonarie, senza sbilanciarsi troppo.
A questo punto eFFe si domandava a che punto è il lavoro del blogger: pare proprio infatti che sia sempre più simile al lavoro del giornalista culturale. Quindi il blogger deve avere le stesse responsabilità e privilegi?
Fare il blogger può essere una professione se alla base ci sono delle competenze, pur non essendo remunerati?
Il blogger oggi è comunque una figura riconosciuta a livello sociale, molti infatti lo scrivono nel curriculum vitae.

Inserto culturale del sole 24 ore
A questo punto ha ribattuto Stefano Salis, con decisione, sostenendo che la professione deve essere retribuita, punto. Altrimenti è volontariato, hobby.
Chi ha determinate competenze offre un servizio e quindi deve essere retribuito, altrimenti non deve farlo, perché poi c'è un problema di credibilità.
Se tu fai il cameriere e sei pagato per questo, ma nel tempo libero scrivi gratuitamente, tu a livello professionale sei un cameriere, non un giornalista. 

Christian Raimo ha riposto con forza parlando di militanza culturale: è lavoro gratuito ma fondamentale, soprattutto in questo momento (c'è bisogno di spiegare perché?). I blog letterari stanno svolgendo un ruolo di supplenza di fronte al venir meno di scuola/università/tv nella mediazione culturale.
È importante essere pagati, vitale, ma perché a volte si sceglie di non essere pagati?
Perché non si sta rivendicando un reddito, ma uno status. Si accetta un lavoro sottopagato ma in cambio ho il titolo di giornalista ad esempio: è più appagante dal punto di vista psicologico in una società che non ha più coscienza del lavoro.
Retribuire tutto il lavoro dei redattori sarebbe la cosa più giusta, ma come? 
 Bisogna porsi la questione della credibilità e dell'indipendenza: nel momento in cui si accetta uno sponsor importante si è ancora credibili ed indipendenti agli occhi del mio lettore?
Doppiozero
L'ideale sarebbe trovare un modo per prendere contributi da lettori.

Marco Liberatore si è trovato d'accordo con Christian Raimo su quest'ultimo punto, fiducia e reputazione sono imprescindibili nel web. Secondo lui per sostenersi e rimanere indipendenti sono necessari articoli di qualità che possono diventare interessanti per altri soggetti, che magari potrebbero interecettare autori per altre attività, remunerate stavolta.

A Salis risponde anche eFFe: non si può ridurre tutto a bianco o nero, perché esiste una gamma di grigi nel mezzo, nel caso dei blog una palude di grigi. È un panorama complesso, dove il compromesso esiste e dovrebbe essere guidato da griglie valoriali. Gli editori mandano i libri ai blogger che non hanno limiti etici: hanno risparmio economico e visibilità.

Il giornalista del sole 24 ore ribadisce che la militanza si può fare anche essendo pagati, altrimenti è ancora solo volontariato: la professionalità va riconosciuta. E se non sei pagato, sei un hobbysta. Bisogna trovare  nuove forme di sostenibilità alla cultura. Per quanto riguarda il digitale però, in fatto di guadagni, non c'è paragone con la carta: i media del web non stanno in piedi.

Le cose più interessanti stanno nei blog però, risponde Raimo. Accettare il compromesso è rischioso, intacca inevitabilmente il rapporto di fiducia con il lettore. E quest'ultimo è importante perché il lavoro culturale è anche un lavoro espressamente politico. Il lavoro va pagato, vero, però ci sono battaglie che vanno combattute, combinando competenze e etica.
E la militanza è necessaria perché c'è un mercato che si autotutela.

In sintesi è di questo che si è parlato.
rivista Studio
Non ho citato Alessandro De Felice perché le sue posizioni erano le stesse di Stefano Salis: un caso che i due rappresentanti del cartaceo la pensassero allo stesso modo su pubblicità, professione e digitale?

Alla fine del dibattito sono state fatte alcune domande dal pubblico.

Ad esempio una signora chiedeva a Salis come dovesse classificarsi un giornalista pagato pochssimo nel momento in cui decidesse di aprire un blog per conto suo: è da ritenersi ancora un professionista pur non essendo pagato?
Sinceramente non ho capito la risposta di Salis, perché ha ripetuto il mantre del "no soldi-no professionista" ed il resto è stato coperto dalla signora che ripeteva domanda con esempi.
C'è stata una ragazza che ha detto che scrive per da ben 10 anni gratuitamente per il web, facendo secondo lei cultura, e si sta stancando: proponeva a Raimo di farlo, questo sindacato dei giornalisti culturali.

[Passo indietro.
Raimo ha detto che chi scrive, e quindi fa cultura, è pagato poco o per nulla anche perché non è tutelato in quanto non giornalista, l'ordine in sostanza tutela chi è già tutelato. Per questo parlava di creare un sindacato per proteggere chi si occupa di cultura, citando anche Good Reads, comprato da Amazon, le cui recensioni sono ora monetizzate. In pratica Amazon fa soldi con lavoro non retribuito. E questo modello sarà quello che si imporrà probabilmente in Apple e Google.]

E poi un'altra signora ha parlato del sindacato dei giornalisti che esiste già e che si trovano in difficoltà, perché molti blogger stanno facendo il loro lavoro con gli stessi privilegi ma senza le dovute responsabilità etiche, mentre l'ordine si occupa d'altro.

È stato un bell'incontro che ha generato parecchie riflessioni.

Io sono d'accodo con Salis quando afferma che il lavoro deve essere retribuito, però non condivido questa visione bianco/nero. Ha ragione eFFe quando dice che esiste un universo di grigi.
La retribuzione obbligatoria per me scatta nel momento in cui quello che scrivo fa guadagnare una determinata persona/organizzazione. Io posso anche scrivere gratuitamente per altri, a patto che ne ricavi qualcosa: o materialmente o almeno moralmente, ad esempio un progetto in cui credo.
La militanza culturale di cui parla Raimo è necessaria e deve esistere al di là della retribuzione: denunciare, criticare, dibattere in modo libero ed indipendente, senza restrizioni o autocensure.
Sarebbe bello essere pagati anche per questo, ma siamo sinceri: chi pagherebbe al giorno d'oggi -restando in ambito libri- per criticare negativamente il libro del proprio editore?
Certo, poi la gratuità ha dei limiti.
Penso alla ragazza di prima che scrive da dieci anni e ora si è stancata: solo che non ha detto per chi e cosa scrive.
Se si parla di blog personali, chi ti dovrebbe pagare? L'università? Te stessa?
Se si parla di blog collettivi, solitamente la collaborazione è sempre volontaria, poi dipende da te.
Se si parla di giornali cartacei il discorso cambia: è più che legittimo pretendere di essere pagati visto che c'è un guadagno solitamente. In caso contrario lasciare assolutamente perché si innesca un meccanismo di sfruttamento e basta.

C'è poi il problema della professionalità e qui c'è parecchio su cui riflettere: un blogger può esserlo per professione? E in base a cosa uno si può definire blogger?
Diciamolo: i blogger sono un po' giornalisti.
Solo che i giornalisti hanno abdicato al loro ruolo: un po' per non scontetare l'inserzionista, un po' per rispettare il capo supremo (editore) e i suoi amici, un po' per non inimicarsi nessuno, sono sempre meno i giornalisti che fanno il lavoro con onestà intellettuale.
I blogger nascono un po' per hobbysmo e un po' per supplire a questo vuoto.
Che cos'è la professionalità?
È il pezzo di carta, i soldi guadagnati o l'esperienza?
A un blogger non si chiedono titoli, nemmeno responsabilità o principi etici. Ci sono blogger che sono cialtroni e ci sono blogger che sono praticamente giornalisti, creando vere e proprie redazioni virtuali.
Ma cosa rende una redazione virtuale meno vera di una fisica da un punto di vista intellettuale?
Sicuramente non il personale, perché i giornali sono pieni di collaboratori invece di giornalisti. Ovvero gente che scrive articoli senza averne la qualifica (per quel che vale). Gente pagata ma senza il titolo richiesto: si possono definire giornalisti professionisti in virtù solo del loro guadagno?
Per parlare dei blogger bisogna necessariamente parlare anche dei giornalisti, perché sono professioni che s'intrecciano e che dovrebbero trovare punti da condividere, come l'etica, non solo i pass.
E se un giornalista lo paga l'editore, come dovrebbe esser pagato un blogger?
È un tema delicato perché è il fulcro del discorso: il blogger accetta il compromesso perché può liberamente farlo, al contrario del giornalista. Accettare libri (o altri prodotti) non cambia il nostro parere ma forse il modo di pensare un'azienda si, come si è visto dal sondaggio di eFFe.
Raimo ha paragonato il blogger alla militanza culturale, asserendo che una volta erano le università ad alimentare queste militanza, grazie alle borse di studio e al sostegno alla ricerca che davano una minima fonte di reddito per poter operare in libertà.
Io credo che il blogger sia una cosa diversa dalla militanza vera e propria, che andrebbe fatta in università, il luogo più adatto. Tuttavia i tempi sono indubbiamente cambiati, discutere su internet commentando articoli e argomentando è quasi la stessa cosa, è cultura.
Il blogger deve trarre vantaggio da ciò?
In che modo?
 Fino a che punto può compromettersi con lo sponsor visto che non esistono codici etici di riferimento


Quando leggevo che alcuni blog/blogger ricevono libri o inviti non mi scandalizzavo, anzi: ero contenta per il blogger, il cui "lavoro" (si può definire tale?) veniva riconosciuto anche dalla casa editrice. Questo perché del blogger singolo tendo a fidarmi, c'è un rapporto fiducia: i blog che seguo, sono abbastanza certa, non faranno mai recensioni forzate.
Tuttavia recentemente ho più volte avuto l'impressione che invece certi blog collettivi tendono a non fare una critica proprio sincera, libera, acritica: come se ci fosse un tacito accordo per cui meno attriti si creano meglio è, per il portale e per la casa editrice. La casa editrice ha pubblicità aggratis, la redazione ci "guadagna" visibilità con un titolo in anteprima e gratis magari. Non sono contro la politica dei doni perché secondo me se un blogger è bravo è giusto che guadagni qualcosa (anche solo un libro), ma temo che questa politica in cui le aziende (non solo le CE) offrono prodotti ai blogger stia inquinando progressivamente la rete e il modo di viverla.
Non ho uno stipendio fisso/sufficente, apro un blog, ho successo, le aziende si interessano a me e mi mandano vari prodotti gratis contribuendo al mio bilancio familiare: quanto interesse avrò a dire chiaro e tondo che quel prodotto fa schifo?
A questo punto io non mi preoccuperei più della credibilità del blog, ma della persona che accetta il compromesso: quanto sono disposta a vendermi per un libro/pass/borsa/spesa/prodotto gratis?
E credo che tanti l'abbiano già fatto, perché in fondo non hanno alcun obbligo morale perché non sono giornalisti, e pur essendo letti da molti scrivono gratis e qualcosa vogliono pur guadagnarci.
Forse saranno sciocchezze, però si parla di formazione: io navigo sul web tutti i giorni, leggo e filtro, ragiono, commento. Se scoprissi che molti di quei blog/siti hanno fatto informazione inquinata io mi arrabbierei: certo non ci ho perso nulla in termini di soldi, ma come la mettiamo con il tempo passato a dibattere, commentare informazioni di base inaffidabili?

Quindi che fare?
Quali potrebbero essere forme di finanziamento sane per un blog?
Esssere blogger può diventare una professione?
Sarebbe utile una sorta di guida di principi etici da rispettare? 

E sulla professionalità cosa è giusto? 
Ha ragione Salis quando asserisce che solo se sei pagato sei un professionista? O un professionista è tale a prescindere da quello che fa per vivere?
E se io volessi scrivere un pezzo che il mio editore non vuole pubblicare perché sconveniente, cosa faccio, rinuncio? Se decido di pubblicarlo su un blog, viene meno la mia professionalità?

Chiudo con le parole di Alessandro de Felice, poco citato.
"...Non è che tutti possiamo fare i blogger e pretendere di essere pagati. La rete non deve giustificare tutti."
Parole con cui concordo pensando a certi blog singoli decisamente imbarazzanti che magari vorrebbero pure essere pagati (ma da chi?) per le loro schifezze.

Links:
Gli Appunti di Christian Raimo

12 commenti:

  1. Ecco. Messo così, l'intero discorso ha più senso.
    Avere una risposta secca a queste domande è impensabile.
    Credo che ognuno dovrebbe farsi un bell'esame di coscienza e capire un po' quel che vuole ottenere.
    I blogger che diventano tali perché sognano un ritorno (che sia in prodotti gratis, che sia, nel caso estremo, un compenso economico) non credo siano interessati alla fedeltà del singolo lettore quanto alla considerazione delle case editrici ed è ovvio che, per ottenere ciò, non possono far altro che scrivere recensioni a cinque stelle. Nella maggior parte dei casi quegli articoli sono così suddivisi: il 90% è la trama del libro recensito e il restante 10% è uno slogan come invito alla lettura dello stesso. Forse non è "eticamente" corretto, ma… perché dovrebbe esserlo? A chi devono dar conto? In un modo o nell'altro i blogger hanno raggiunto i loro obiettivi.
    Ma è anche normale: il guadagno, se in futuro si potrà parlare di guadagno vero e proprio, sarà direttamente proporzionale alla pubblicità che la casa editrice riesce ad ottenere tramite quella recensione.
    Perché, e lo sappiamo, la recensione positiva riesce a pilotare gli acquisti.
    E non è un discorso limitato ai blog letterari. Poco tempo fa si parlò di recensioni pilotate anche per Tripadvisor, il sito che raccoglie giudizi dei clienti su ristoranti ed alberghi. E lì ci sono orde di utenti che fanno affidamento sui pareri delle persone che commentano (la prima sono io).

    Sarei felice se un blogger che stimo, che è bravo, che è onesto, venisse retribuito, perché in effetti, con le sue recensioni, apporta un servizio anche a me ma… come hai detto anche tu… chi dovrebbe pagarlo?
    Io? Noi? Un euro per un clic? È complicato. Non c’è, in questo caso, un “superiore” a cui fare riferimento.
    Però ci puoi mettere la soddisfazione, il ritorno dei lettori, la “militanza”culturale. Su questo sono d’accordo con Raimo.
    Sono scelte, sono compromessi.
    Sarebbe bello se noi potessi continuare a tenere salda l’onestà, fare quello che ci piace, come e quando ci piace, ed essere pure pagati per farlo, no?

    Maria

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    1. Avendo toccato molti argomenti, è difficile scrivere tutto il dibattito. Io stessa ho eclissato su alcune cose visto che il fulcro era questo.

      Sul blogger che vorrebbe essere tale per professione...questo deve per forza affidarsi al lettore, altrimenti se non viene letto/ascoltato che ritorno avrebbe in termini economici un'azienda? Per questo magari certe pratiche (regali di vario tipo) non vengono dette esplicitamente a volte.
      La fiducia del lettore è essenziale per un blogger..nel momento in cui sarà evidente che non è più affidabile, uno non lo legge più, quindi niente guadagni per nessuno. Il blogger per me deve rendere conto ai suoi lettori prima di tutto, rispettandoli e continuando il rapporto di fiducia creato.

      Sul blogger bravo e magari retribuito...boh. Al momento non ci sono soluzioni e ognuno arrabbata come può. L'unica soddisfazione che puoi avere è appunto vedere che crei qualcosa.

      Sulla militanza culturale non so, l'ho sempre vista come qualcosa di vecchio nei termini, propio da testi di scuola.

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  2. Beh, sono d'accordo con te e con Maria.
    L'incontro con eFFe e con Raimo c'era stato anche al Salone di Torino, anche se lì non si era riusciti ad approfondire per mancanza di tempo. Ma il succo non cambia, la domanda rimane quella: chi ti dovrebbe pagare?
    E poi c'è troppa differenza tra blog. Un blog che si autogestisce, il blogger che impiega il tempo che ha o che gli va, che scrive quello che si sente... alla fine per me è un hobby. Può servire a farsi conoscere, a farsi inviare libri 'gratis', magari ci si crea un discreto seguito, però per me rimane un hobby. E credo che uno dovrebbe prendersi le responsabilità che si sente, e non quelle che gli affibbiano terzi che magari la pensano diversamente.
    All'incontro di Torino avevano portato a esempio il blog di una testata famosa inglese o americana, che è stata resa famosa da diversi blogger e quindi venduta senza che i blogger abbiano ricevuto un centesimo. Va bene come esempio, però alla fine è una situazione diversa. La stragrande maggioranza dei blogger sono singoli che si sono aperti il blog da soli, o che si sono più che lietamente prestati a scrivere gratis per un blog collettivo gratuito. Non c'è uno che ci guadagna, se non talvolta (e poco) le case editrici quando le recensioni sono positive.
    Non so, non ho ben chiaro dove vogliano arrivare. Bloggare la vedo più come una chiacchierata tra appassionati che altro.

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    1. Beh ma "chiaccherata tra appassionati" mi sembra ridimensionare drasticamente il valore dei commenti, che creano discussione. Se penso a certi blog, minima et moralia restando in tema, non mi sento di chiamarle semplici "chiaccherate". Quando a parlare è un editore e a rispondere magari è un altro editore o autore o giornalista, si può ancora parlare di semplici appassionati/hobbysti (come dice Salis)?
      O il livello diventa un altro, magari proprio militanza culturale, come dice Raimo?
      Il punto è che molti blog (adesso si parla dei collettivi, e anche di alcuni singoli) si sono posti il problema del finanziamento per poter retribuire -giustamente- i propri articolisti e mantenere così un certo livello qualitativo. Questo finanziamento però lo si è cercato in sponsor vicini (bookblog->editori, fashionblog->griffe famose, momblog->aziende d'infanzia) che con la loro sola presenza potrebbero cambiare il tiro del blog e abbassarne la qualità, quella per cui è seguito.

      Si vuole arrivare qui: trovare un modo di sostentamento sano per i blog, perché continuino ad agire per creare un serio dibattito culturale.
      Perché è questo che fanno i blog -su questo sono d'accordo con Raimo- creano una cultura che oramai non si fa più da nessuna parte, stanno colmando un vuoto: dove lo trovi il dibattito? A scuola? All'università? In Tv? Non credo proprio se guardo alle mie esperienze.

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    2. Beh, chiacchierata tra appassionati non per sottostimare l'importanza dei commenti o della discussione in sé, ma per dare un'idea del contesto in cui si sviluppa il dibattito. Cioè, un 'deh, siam qui, questa cosa è interessante, parliamone' piuttosto informale dal quale sorgono spesso cose belle.
      Minima et Moralia e simili non li vedo come blog, mi sanno più di territorio di confine. Non ho un nome per quello che sono, però non mi sanno di blog. Poi dipende anche da chi c'è dietro e se qualcuno guadagna dal blog. Minima et Moralia è praticamente il manifesto di MinimumFax e immagino faccia la sua bella pubblicità. E lì sì, mi viene più da parlare di 'articolisti' che di blogger. Cioè, per me è proprio un discorso a parte.
      La remunerazione... ecco, va bene che è un modo anche di riconoscere il ruolo del blogger - che spesso e volentieri si impegna più degli editori per arrivare ai lettori - però non riesco a trovare un pagamento che sia 'sano'. Se parliamo di un 'tot' a visita o al classico banner da cliccare e simili certo, perché no? Forse, così come gli youtuber guadagnano dalle view, i blogger potrebbero guadagnare a seconda delle visualizzazioni delle pagine. Ma la quantità di visualizzazioni non è comparabile, quindi dubito.
      E l'idea di farsi pagare le recensioni è abominevole. Quindi... mah ò_ò Siam sempre lì.

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    3. Eppure Minima et Moralia e simili sono blog, perché non sono prettamente giornalistici anche se lo stile è quello. Certo c'è dietro Minimu Fax, ma a detta di Raimo nasce come costola a sè non come estensione della casa editrice. Hanno voluto creare uno spazio dove si parlasse d'altro, infatti hanno parlato anche di altri libri, stroncandoli o lodandoli, senza che fossero della casa editrice (che a quel che ho capito finanzia solo il dominio). Lo stesso modo in cui Raimo ha scritto certi post come quello su questo incontro lo inquadrano più come blogger che come editor, la sua professione.
      In realtà un blogger potrebbe già guadagnare con le visualizzazioni ma è poca cosa, la pubblicità esiste se la vuoi inserire, dopo un tot in base alle visite etc etc hai un minimo ritorno economico. Boh, io credo che magari uno ci pensa a queste cose, 1. nel momento in cui scrive cose sensate e di qualità che attirano un considerevole pubblico, e 2. ci mette del tempo a cercare/pensare/scrivere determinati post, tutti i giorni magari...e per questo può venir voglia di compromettersi o di pensare cmq più seriamente a una professione da blogger...mm.

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  3. beh, ovvio che se i blogger venissero riconosciuti in qualche modo in un ambito professionale sarebbe una cosa buona e giusta, perché, a meno che non si parli dei blog di copia-incolla, si tratta di un lavoro a tutti gli effetti. ma chi dovrebbe pagare? e chi dovrebbe essere pagato? sembra che non ci sia possibilità di dare una risposta a questa domanda. perché qualcuno dovrebbe pagare per quello che io scrivo? e chi? gli editori che pubblicano la roba di cui io parlo? ma non me l'hanno nemmeno chiesto! perché dovrei chiedergli dei soldi, se magari a loro non interessa nemmeno?

    dovrebbero essere le testate giornalistiche online, che guadagnano con la pubblicità sui siti ad esempio, che dovrebbero pagare i collaboratori, questo sì. ma se si parla di blog personali, che trattino o meno di letteratura, beh, non riesco a immaginare nessuna soluzione al problema.

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    1. Sul fatto del blogger professionista non lo so perché appunto è un mondo così vario che non ha confini. Però un dato certo è che pur esistendo i cialtroni appunto, ci sono alcuni che oramai sono quasi veri e propri giornalisti culturali: leggono, criticano, informano, discutono. Chi fa questo per me è un Blogger con la b maiuscola.

      Sulla retribuzione Salis e De Felice erano totalmente scettici riguardo al digitale: la loro convinzione è che solo la carta paga, il digitale è una bolla con solo costi. E in virtù di questo la mia impressione è che tendessero quindi a snobbare e sminuire tutto il lavoro culturale nei blog (ho la sensazione che chiunque lavori con la carta la pensi così).

      L'ideale sarebbe che i lettori pagassero, però con il digitale è ovviamente un problema senza soluzione al momento. Raimo sosteneva che potrebbero essere i grandi attori (Amazon-Google-Apple), considerando che per questi ogni recensione/parere è utile per le loro piattaforme. Ora io non so come sia la storia di GoodReads che ha citato, però se è vero che Amazon è riuscito a monetizzare le recensioni degli utenti di GR avendone un guadagno...perché non dovrebbe avere un ritorno economico anche chi ha scritto quelle recensioni?

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  4. Il tuo post è molto bello e permette di affrontare svariate discussioni, quindi ti ringrazio per averlo scritto.
    Poi... credo sia anche difficile schierarsi da una parte o dall'altra. O almeno lo è per me, che sono storicamente una bandiera in balia del vento. XD

    Per quanto mi riguarda io non riesco a vedere il mio bloggare come un qualcosa di più che un semplice hobby. Sarà non mi sento affatto 'giornalista' e che mi baso più sull'istinto che sull'analisi vera e propria...

    Allo stesso tempo ammetto che mi da fastidio quando magari gli editori fanno finta di non riconoscere l'importanza che i blog hanno o possono avere. Quindi sì, un po' di riconoscimento in più ci starebbe. Ma non dico monetario, quanto piuttosto di ruolo. Di rispettabilità.

    Per quanto riguarda la retribuzione... mah! In tutta sincerità non so cosa dire. Perché già quando si tratta di un blog collettivo per me siamo un po' al limite del termine blog, che sbaglio o dovrebbe essere una sorta di diario online? E che diario è se ci sono venti persone che ci lavorano?
    Infatti quelli collettivi le seguo molto poco. Per le notizie, probabilmente, ma se io voglio pareri su una lettura, so a quali blogger assomigliano i miei gusti e quindi vado a spulciare da loro. La forza del blog è infatti la singolarità, secondo me, perché io devo riuscire a riconoscermi nel blogger e nei suoi gusti per poter prendere sul serio i suoi commenti.
    Mentre quelli collettivi forse potrebbero essere utili per lanciare dibattiti, ma non in termini di promozione. Almeno per me.
    Quindi, succo succo, quelli collettivi potrebbero essere tranquillamente una testata giornalistica online, quindi immagino dovrebbero farsi pagare da delle inserzioni pubblicitarie. Perché altrimenti chi dovrebbe pagare? In quanto lettore io non pagherei un blogger. Mi spiace. Piuttosto compro un libro.

    Mi sembrava ci fosse un'altra cosa che volevo dire ma mi son perso! XD
    Se mi ritorna in mente scrivo ancora.

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    1. Bloggare come fanno molti singoli si, anche per me è un hobby. Però quando lo fa un giornalista o qualcun altro con modalità simili, magari per denunciare/segnalare qualcosa siamo, molto più vicini al giornalismo che non al bloggare per passare il tempo.
      Cmq anche la mia impressione è che tra la carta e il digitale ci sia ancora un abisso...chi lavora con la carta tende a non considerare "serio" o degno di attenzione che scrive nei blog, etichettandolo come " web", in modo generico e confuso. E questo proprio perché è visto come un hobby... che non fa guadagnare, mentre con la carta si guadagna, anche se scrivi sciocchezze, e quindi ha sempre più autorialità del primissimo dei blog.

      Di blog collettivi io ne seguo alcuni, che considero belle realtà al confine col giornalismo culturale, altri, quelli con recensioni classiche tendo a guardarle come punto di riferimento per novità etc, ma non mi vien voglia di commentare.
      Purtroppo con la pubblicità on-line è ancora difficile guadagnare qualcosa, la stessa Repubblica (parole di Salis) pur con tutti i fastidiosi banner qua e là, ha i ricavi che vengono ancora per la maggior parte dalla raccolta pubblicitaria cartacea.

      Certo se più gente leggesse e usasse il web forse le cose cambierebbero, aumenterebbe magari anche il valore di un blog (collettivo in questo caso) il che gli permetterebbe di guadaganre di più con la pubblicità.
      Però boh, per uno che sa navigare nel web c'è ne sono altri 20 che si limitano alla mail e a word.

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  5. Io devo ammettere che più volte ho comprato libri di cui mi aveva estasiato una recensione di un/una blogger. E non parlo di siti dalle milioni di visualizzazioni, ma di qualcuno di cui mi fido e che stimo per l'onesta, e magari per l'affinità dei gusti.
    Anche il fatto stesso di creare dei gruppi di lettura, anche se magari vi aderiscono "solo" dieci persone, comporta comunque un guadagno alla casa editrice. Questo per dire che comunque, secondo me, non sarebbe un male se questi blogger venissero in qualche modo premiati dalle case editrici. Magari anche con un buono spendibile a loro piacimento, che non vada quindi ad inficiare la veridicità della loro attività.
    Altro discorso vale per quei blog sbrilluccicosi e iperanimati (che mi fanno venire il mal di testa solo ad aprirne la pagina), che copiano e incollano la rassegna stampa della casa editrice, mi sbolognano la trama copiata dalla quarta di copertina con tre righe di "commento personale". Questo no, mi dà proprio fastidio... Non c'è dedizione né impegno nel fare una cosa del genere, non c'è passione in quello che uno fa...

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    1. L'idea del buono è molto carina, non ci avevo mai pensato. Certo poi la casa editrice dovrebbe fare in realtà una scrematura tra vari blog (se parliamo dei singoli abbastanza "famosi") e scegliere quelli di qualità...ma risulta ovviamente troppo dispendioso e rischioso se il blogger poi ti stronca il libro (solo sul web ho letto stroncature meravigliose). È un cane che si morde la coda direi.

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